The Power law di Sebastian Mallaby – Il Venture Capital, la Silicon Valley e la creazione di un nuovo futuro

 

Qual è la storia del Venture Capital, ovvero l’apporto di capitale di rischio da parte di un fondo d’investimento, per finanziare l’avvio di un’attività in settori a elevato potenziale di sviluppo e innovazione ma allo stesso tempo con un’ elevata possibilità di fallimento? Perché gli investitori, chiamati Venture Capitalist, si annidano principalmente nella Silicon Valley, la parte meridionale della San Francisco Bay Area culla dell’innovazione tecnologica e digitale?

 

The Power Law, l’ultima fatica di Sebastian Mallaby, scrittore e giornalista inglese, risponde a queste domande in modo approfondito sfruttando il suo accesso alle figure chiave dei templi del Capitale di Ventura come Sequoia Capital, Kleiner Perkins, Accel e grazie a partnership con i cinesi di Qiming Venture Partners e Capital Today. Editorialista del Washington Post, ex collaboratore del Financial Times e articolista per testate come il New York Times e The Atlantic, Mallaby si occupa principalmente di mercati finanziari e delle connessioni tra economia e relazioni internazionali.

 

Nell’introduzione al proprio saggio l’autore narra un aneddoto che coinvolge Patrick Brown, un genetista che in quel momento si era preso un anno sabbatico per concretizzare il suo intento distruggere gli allevamenti intensivi di carne bovina e creare una “carne” di origine vegetale, (dei plantburger che ricordassero in tutto e per tutto l’esperienza carnivora) e uno dei Venture Capitalist della Silicon Valley, particolarmente interessato a progetti “cleantech” rispettosi dell’ambiente, Vinod Khosla. Era un’idea fin troppo estrema per il 2010, ma Khosla finanziò quella che in seguito diventò Impossible Food, sostenendo che il progresso è inseguito da uomini irragionevoli e creativamente disadattati. Khosla è l’incarnazione della spregiudicatezza del Ventur Capitalist e di quello che l’autore vuole spiegare ai lettori, ovvero la mentalità del capitale di rischio: esso non si basa, come gli altri finanziamenti, sulla base di analisi quantitative e statistiche su modelli del passato estrapolando dati per prevedere più efficacemente il futuro, ma su intuizioni, guizzi che di genio che possono portare le start up che vengono finanziate (quelle che operano in settori precisi ad alto contenuto di innovazione), a una crescita esponenziale, dando vita alla legge di potenza (il Power Law del titolo), così chiamata perché chi vince la scommessa data dal rischio avanza a un ritmo esponenziale, estremamente accelerato.

 

L’autore si concentra inoltre sulle ragioni che hanno portato la sopracitata Silicon Valley a essere il centro nevralgico dell’innovazione tecnologica: in primo luogo è fondamentale la cultura della cooptazione della Valley, ovvero quel fenomeno in base al quale c’è la presenza di cooperazione e concorrenza allo stesso tempo, che porta i cluster industriali di start up transitorie e caratterizzati da un alto numero di legami esterni a essere più creativi di cluster dominati da grandi aziende autonome con legami stretti all’interno del proprio ambiente ma poche connessioni all’esterno. I confini porosi e i legami deboli rendono dunque un cluster industriale maggiormente produttivo, e di questo se ne sono accorti i Venture Capitalist, che hanno incentivato lo svilupparsi di connessioni tra imprenditori, idee, clienti e capitali.

 

Tuttavia al giorno d’oggi l’importanza del Venture Capital si è estesa oltre la sua storica roccaforte della Valley costruendo avamposti in Asia, Israele ed Europa, oltre che in molte altre città statunitensi. Grazie a una solida tradizione di eccellenza ingegneristica e un importante sostegno governativo, Israele divenne uno dei principali centri di innovazione al di fuori degli USA.

 

Particolare importanza è data dall’autore al mercato cinese, dove si scopre incredibilmente che il boom tecnologico fu forgiato da investitori americani e che gli stessi Venture Capitalist cinesi erano americani per quanto riguarda l’istruzione, la formazione professionale e l’approccio al capitale di rischio, almeno nella fase iniziale.
Nel 2017 il vantaggio degli Usa è svanito, mentre le start up cinesi si sono lanciate nel mondo dell’Intelligenza Artificiale, sviluppando applicazioni che vanno dai prestiti istantanei agli algoritmi di riconoscimento facciale. Il capitale di rischio ha riscritto gli equilibri del potere sia commerciali che militari tra gli USA e la Cina, dove questo settore sembra essere molto più aperto alle donne. Donne del calibro di
Shirley Lin (che presiede il Center for Asia-Pacific Resilience and Innovation – CAPRI, un nuovo think tank politico che conduce ricerche interdisciplinari e comparative su politiche innovative che possono rafforzare la resilienza e migliorare la governance nell’area Asia-Pacifico) e Kathy Xu (considerata la regina del Capitale di Ventura cinese e fondatrice di Capital Today, società che si impegna a fornire capitale di crescita alle piccole e medie imprese cinesi e le aiuta a costruire attività sostenibili).

 

Quelli del sessismo e del razzismo sembrano essere problematiche di spicco nel mondo del Venture

Copertina frontale con origami di unicorno del libro The Power Law scritto da Sebastian Mallaby e pubblicato da Edizioni Thedotcompany
The Power Law scritto da Sebastian Mallaby e pubblicato da Edizioni Thedotcompany

Capital: nel 2020 solo il 6,5% delle operazioni di Venture ha riguardato startup con fondatori donne, solo il 3% dei partner di capitale di ventura sono neri e gli ispanici americani sono ancora meno rappresentati. Rimanendo nell’ambito delle critiche al sistema, il Venture Capital secondo alcuni favorirebbe il cosiddetto Blitzscaling cioè la crescita a un ritmo molto più veloce rispetto ai concorrenti, dando la priorità alla velocità rispetto all’efficienza. Il Blitzscaling viene effettuato per stabilire un potere di mercato, quasi un monopolio, e potrebbe portare portare a uno sfruttamento dei lavoratori, a sovraccaricare i consumatori e limitare l’innovazione, oltre a distruggere quelle che erano le le imprese preesistenti nel settore, le quali soccombono non perché tecnologicamente svantaggiate, ma perché non sostenute dal flusso di denaro dei Venture Capitalist.

 

Nonostante le indubbie zone d’ombra che questi tipi di finanziamento generino sulla società e l’economia, bisogna considerare l’enorme Impatto dei VC nei settori prettamente digitali: aree come la tecnologia medica (medtech), la tecnologia della difesa (deftech) e la tecnologia pulita (cleantech) possono trarre vantaggio da un incontro con i Ventur Capitalist. Dal 2018, ci sono stati finanziamenti in progetti come lo sviluppo di auto elettriche, tecnologie per la sostenibilità delle colture e in software che consentono di migliorare l’efficienza energetica. Si potrebbero fare gli esempi di una partnership chiamata Lux Capital, (che ha investito in settori come la robotica medica, satelliti e trattamento dei rifiuti nucleari) o Flagship Pioneering (un operazione di Venture con sede a Boston concentrata su ambiziosi progetti in ambito medico).

 

L’esperienza economica di Sebastian Mallaby e la sua capacità di intrecciare narrazioni storiche e dati rendono questo libro una lettura illuminante: vengono narrate infatti le storie di Alibaba, Apple, Google (dove scopriamo che il ruolo del Venture Capitalist non si limita al ruolo del del finanziatore ma impone la propria volontà all’interno del contesto aziendale come la nomina dell’amministratore delegato, che in questo caso si concretizzò nella figura di Schmitd e vide nascere il disprezzo per i giovani fondatori per la stessa forma di finanziamento che li stava aiutando) e Facebook, la cui ascesa coincise con un’epoca di tumulto dell’industria del venture, la crisi del settore tecnologico e la già citata ribellione dei giovani founder nei confronti dei finanziatori.

 

Naturalmente Mallaby non poteva non soffermarsi anche su esempi meno virtuosi di società nate nella Silicon Valley come il caso di Uber. Con Uber, servizio di trasporto automobilistico privato che usa l’app di propria creazione per collegare persone che richiedono un trasporto e autisti ed è uno dei massimi esempi di sharing economy, si assiste all’incontro tra l’incontro tra la start up e la società di Venture Capital Benchmark Capital, uno dei primi investitori in Uber, cui socio Bill Gurley è entrato a far parte del consiglio di amministrazione. Gurley è stato una figura centrale nella cacciata dell’allora CEO di Uber Travis Kalanick a metà del 2017, dopo che sono emerse una serie di storie imbarazzanti sul comportamento del fondatore, oltre alle accuse all’azienda di sostenere una cultura di molestie sessuali e di aver copiato una tecnologia di Google per la guida autonoma delle automobili. Benchmark ha quindi citato in giudizio Kalanick per frode e violazione del contratto, sostenendo di aver fatto “errate dichiarazioni sostanziali” al consiglio e di aver nascosto informazioni cruciali per ottenere un maggiore controllo. Sempre nel giugno 2017, cinque dei principali investitori di Uber, tra cui Benchmark, hanno chiesto le dimissioni di Kalanick, osservando che la società aveva bisogno di una nuova leadership.
La vicenda Uber-Benchmark ha fatto emergere come l’industria del Venture Capital si sia trovata di fronte a una sfida: le aziende unicorno (imprese
che hanno raggiunto una valutazione di mercato di oltre un miliardo di dollari) hanno problemi di governance. Secondo Gurley la soluzione sarebbe la quotazione pubblica, che costringerebbe i fondatori degli “unicorni arroganti” ad ascoltare revisori, banchieri, autorità di regolamentazione in modo da contrastare ipotetici rifiuti ad ascoltare i consigli dei Venture Capitalist.

 

Quello di Mallaby è un lavoro imponente, estremamente approfondito e rigoroso, ma allo stesso tempo scorrevole e coinvolgente, soprattutto per coloro che sono interessati alla nascita e allo sviluppo di compagnie che sono state in grado di liberare il potenziale umano.

 

 

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Il libro “The Power Law” può essere acquistato sul qui.

 

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