Samsung Rising è la nuova pubblicazione della casa editrice reggiana Edizioni Thedotcompany, con la traduzione dall’inglese di Benedetta Gentile e Pietro Meucci; quest’ultimo ha inoltre curato l’introduzione.
Samsung Rising è un’inchiesta giornalistica, che mira a ricostruire la creazione e l’ascesa dell’azienda multinazionale sudcoreana e dalla famiglia che l’ha fondata, i Lee. L’autore, Geoffrey Cain ha vissuto in Corea del Sud per anni tra il 2009 e il 2016, ed è un giornalista, scrittore e antropologo americano. È specializzato in geopolitica e tecnologia e collabora con l’Economist, Time, Wired e il Wall Street Journal. Dopo aver frequentato la George Washington University si è specializzato alla School of Oriental and African Studies.
Quello che Cain ha evidenziato sono le molteplici sfaccettature che caratterizzano l’azienda Samsung, e che l’hanno trasformata nel gigante tecnologico che è oggi. Una di queste è sicuramente il rapporto squilibrato tra Samsung e il potere politico, tanto che la stessa Corea del Sud è stata ribattezzata da molti “Repubblica di Samsung”.
La storia di Samsung comincia quando Byung-Chul Lee ha creato i Samsung General Stores, nel 1938, per esportare pesce, verdura e frutta in Cina. Dopo 30 anni la casa fondatrice si trasforma in Samsung Electronics, supera brillantemente la crisi asiatica del 1997 e diventa gruppo nel leader mondiale dell’elettronica, con duecentomila dipendenti sparsi nel mondo, diversificando le sue attività. I discendenti di Lee I hanno dato vita negli anni a Heavy Industries (secondo gruppo mondiale di cantieri navali), Engineering e Samsung C&T (costruzioni) e Life Insurance (assicurazione e pubblicità). Samsung possiede inoltre società specializzate in parchi a tema, hotel, compagnie farmaceutiche e automobili.
Un conglomerato di tali dimensioni (giusto per riportare un po’ di numeri per l’intero anno fiscale del 2022 ha registrato un fatturato annuo record di 244,05 miliardi di dollari, e un utile operativo di circa 35,03) ha un’influenza incomparabile sull’economia e la politica. Per questo la famiglia dei Lee è una storia di concessioni di grazia presidenziale (ne hanno beneficiato sia Lee II che Lee III) e modifiche delle normative ad personam per sospendere i procedimenti penali a carico.
Nel 2016 avvenne quello che molti giornalisti definiscono il Watergate coreano e portò migliaia di cittadini a scendere in piazza per chiedere le dimissioni della presidente Park Geun-hye. La presidente coinvolta nello scandalo era all’epoca plagiata da una sua collaboratrice, Choi Soon-sil, una business woman coinvolta in un culto sciamanico, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Rasputin della Corea del Sud”. Samsung, che già aveva dato cospicui finanziamenti alle fondazioni di Soon-sil, era accusata di aver prezzolato la donna perché usasse la sua influenza sulla presidente e la portasse a sostenere una fusione aziendale da 8 miliardi di dollari tra Samsung e C&T Corp e Cheil Industries. Il successivo impeachment della presidente portò a indire nuove elezioni nel 2017, che portarono alla vittoria di Moon Jae-in, un membro del partito democratico coreano. Il presidente Moon appena insediatosi nominò il professore di economia Kim Sang-jo a capo dell’agenzia di regolamentazione coreana che prende di mira i monopoli e apre indagini per smantellare cartelli e partecipazioni incrociate. Kim fu nominato “cecchino dei chaebol” per la sua propensione a prendere di mira le aziende potenti.

Nonostante il termine chaebol possa sembrare di origine inglese, in realtà proviene proprio dal mondo coreano e indica gruppi di grandi imprese conglomerate caratterizzate da un forte controllo familiare, organizzazione e management dittatoriale. Oltre a Samsung le altre chaebol più importanti della Corea del Sud sono Hyunday, LG, Lucky Goldstar Electronics. Il loro fatturato rappresenta, da solo, metà del PIL coreano. I Chaebol hanno alcune caratteristiche uniche che li distinguono da altre imprese conglomerate. Innanzi tutto si impongono come presenze di spicco sul mercato internazionale e, in secondo luogo, i chaebol hanno una cultura aziendale molto forte basata sulla lealtà e sul lavoro di squadra.
Samsung in particolare è diventato un colosso industriale tale perché guidato da uno stile manageriale basato su una gerarchia di stampo militare e fortemente burocratizzata. Cain definisce Samsung come una commistione di caratteristiche imprenditoriali cinesi e giapponesi: dalla Cina la famiglia Lee ha tratto il pragmatismo, la meritocrazia e la burocrazia; dal Giappone lo spirito delle zaibatsu, costruito su rigide basi famigliari, sulla cooperazione e il senso di lealtà dei dipendenti (con zaibatsu si intende l’equivalente nipponico delle chaebol).
Nei suoi ultimi 30 anni Samsung ha infatti avviato delle rivoluzioni aziendali estremamente verticistiche e dogmatiche, per garantirsi l’assoluta dedizione dei suoi lavoratori.
La gerarchizzazione aziendale della multinazionale coreana è di tipo top down, ovvero le decisioni per tutta l’azienda vengono prese esclusivamente dagli alti dirigenti per poi distribuirsi verso le gerarchie inferiori, e portata all’estremo: Cain ha evidenziato la riservatezza al limite dell’ossessione che circonda la famiglia Lee e il gruppo di executive, tanto da etichettarli come “La Torre”, la mente che elabora le strategie dell’intero gruppo.
Tuttavia non basta una rigida politica di management per spodestare big tech come Apple: Samsung ha sempre puntato alla concezione che il prodotto conta più del marchio, progettando strumenti che superassero gli altri sul mercato sul piano della durabilità e l’utilizzabilità, riuscendo a surclassare Apple nella produzione di smartphone anche grazie a software e design innovativi. Per anni, le due aziende hanno combattuto un conflitto senza precedenti nella storia: la loro guerra legale (rinominata guerra dei brevetti) è costata più di un miliardo di dollari e ha attraversato quattro continenti.
Come se non bastassero le guerre con altre big tech, scandali finanziari e politici Cain inaugura il suo libro parlando nel primo capitolo del Galaxy Note 7, una linea di smartphone che avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello di Samsung e si rivelò uno dei più grandi disastri per un brand su scala globale. Con una produzione di batterie difettose che tendevano a surriscaldarsi e prendere fuoco, il modello Galaxy note 7 si è rivelato un completo fallimento. Samsung ha poi rimpiazzato i telefoni difettosi con altri ugualmente pericolosi, contribuendo così a peggiorare ulteriormente il danno di immagine.
Anche con la presenza di telefoni incendiari, scandali politici e finanziari Samsung è sempre riuscita a uscirne indenne: come riporta anche Pietro Meucci nella sua introduzione l’azienda è Too big to fail, too big to jail. Qualsiasi governo avrebbe difficoltà ad avere a che fare con un una potenza economica che ha un bilancio analogo a quello di uno stato e se fallisse porterebbe il tasso di disoccupazione dal 3,5% al 7,1%. Questo spiega perché in Corea l’atteggiamento della politica e della giustizia sia molto cauto nei confronti dell’azienda e nessuno sembra veramente intenzionato a decapitare il gigante. Tuttavia qualcosa si sta muovendo: nel 2021 Lee II è stato dichiarato colpevole di appropriazione indebita e corruzione dall’Alta Corte di Seul e ha annunciato di non voler passare ai suoi figli le redini dell’azienda alla sua morte perché non debbano sopportare cause giudiziarie a seguito della successione.
La Repubblica di Samsung entra in nuova fase: domina ancora l’economia del Sud Corea, ma il destino della dinastia Lee rimane in sospeso.
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Sito ufficiale dell’autore: https://www.geoffreycain.net/
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